L’Italia, un paese che non sognai, pero’ mi ha dato il meglio. Quando per la prima volta ho calpestato il suolo italiano, di fatto sapevo quello che volevo!

Non appena ho raggiunto questa terra a forma di stivale, ho visto che questopaese e’ fatto per farmi star bene,  a me, il normale citadino: le strade per le macchine, I marciapiedi, ma anche’ le strade per  le biciclette, cassonetti  puliti, giornate speciali per rifiuti rigorosamente selezionati-era un piacere fisico a vedere tutto questo! Non ho visto in giro la gente ubriaca.

L’Italia si e’ rivelata come un paese ben sistemata. Tutto quello che si e’ fatto nel questo paese e’ stato grazie al vecchio regime, dicono alcuni,  quindi oggi anche se è governato male, il sistema è così ben impostato che le cose vanno come dovrebbero da sole.

Sentieri di montagna erano pieni di gente, cosa cercavanno , di fatto?! Istintivamente gli ho seguita, ero curiosa vedere e capire come sono loro, cosa fanno in montagna? Cosi ho scoperto il cammino, ho riscoperto il cammino in montagna  ad un altro livello. La montagna e’ diventata per me la seconda casa, una cosa molto cara. Ho scoperto che in montagna, non importa da dove vieni o chi sei, l’altro è tuo fratello. Ah, ecco perche’ la gente che incontravo mi sorrideva e mi salutava.  L’ apparenza inganna… Oltre una certa rigidita’ la maggior parte degli italiani sono persone normali, come noi tutti. Grande è stata la mia gioia quando l’ho sentita dire la stessa cosa di me: „A, ma tu sei come noi!”. Mi sono rallegrato con loro, il fine settimana li ho trascorsi sulle loro montagne, come loro, mangiavo nella capanna con loro, le chiacchere o il silenzio –ero come loro.

Quando ho scritto il frammento „Nana Irina”, ho pensato ad alcuni amici italiani, con quali siamo rimasti molto amici- ci sono persone a cui tengo. Sono desiderosa di tradurre alcuni dei miei pensieri. Non ho molta praticita’, ma ho provato traddure per loro. Perche’ ho sentito dire da loro le stesse cose  come io pensavo. Le loro percezzioni e pensieri sono come i miei anche’ se sono nata parecchia distanța da qui. Per loro, i miei amici italiani, che mi hanno fatto sentire come loro, dedico a loro questa traduzione!

Pictură originală Fenea Petruț-Munteanu

***

Mi era molto cara la nostra chiesa sulla collina! Si stava nascondendo nell’alto gruppo di acacie vicino al cimitero. Di fronte alla chiesa abitava nana Irina, la sorella di mia madre. Ho iniziato le preparazioni alla mattina presto, avevo da fare un bel pezzetto fin’la’. Mi sono preparato bene, come se dovessi fare un lungo viaggio lontano da casa. Davanti al cancello guardai in fondo alla strada. La strada si e’ visibilmente ingrandita, tutto illuminata! All’ pozzo di Anete, di fronte di casa nostra, mi fermai un attimo, chiusi gli occhi: la sensazione di bontà (del bene)che provavo al pozzo non aveva eguali. Ovunque fossi nel mondo, stavo portando l’immagine della fontana di fronte di casa nostra. L’intaglio in pietra porosa, posto su due macine in pietra, è rimasto intatto nonostante il passare del tempo. Mi è venuto per secoli per essere un simbolo di perennità, fin dall’età del vecchio moș Andrea, il fratello del nonno paterno. La consapevolezza di appartenere al mio popolo, alle mie radici, ad nostro vechio Andrea di cui ho sentito parlare nella nostra casa mi ha dato una libertà interiore che intuitivamente realizzavo. Eravamo chi eravamo. Superata la stradina, sul lato destro il giardino ben curato di Chiril e Paraschiva, la sua sorella. Alla staccionata, parlando con la gente che passava, trovavo spesso Zanovica col fazzoletto sulla testa legato a modo „cappello”. Ho attraversato il giardino di Juc coi suoi cani che abbaiavano sempre e sotto c’era la proprietà di nana Fenia, una donna russa che è venuta a vivere nel nostro villaggio. Nana Fenia, la mia padrina battesimale, aveva comprato una fabbrica di prepparazione della lana delle pecore ancora prima della guerra. Sorprendentemente, la fabbrica ha funzionato anche durante l’era sovietica. Presi il nome di nana Fenia, anche se alcuni bambini ridevano del mio nome. Naghina di Dumitru Ţurcanu, della mia eta’ battezzò la sua capra con il mio nome.

Pictură originală Fenea Petruț-Munteanu

Quando incontrai sulla strada i ragazzini stavano cantichiare un ritornello: fegna, fonia, fignia. „Mamma, perché non mi hai messo un nome come tutti gli altri: Maria o Ileana? Il che non siamo nemmeno parenti con essa!” „Ma che cos’è, a me piace: Feniuzza, suona bene!”. A una simile argomentazione non avevo altro che accettare la situazione data. Mi immaginavo come sarebbe chiamarmi in altro modo, diciamo Liubovi, visto che i nomi russi erano in moda nel villaggio. Davanti al cancello di nana Fenia, alcune decine di passi si estendeva il burrone nella nostra lingua quotidiana, ma il burrone aveva un nome: il fiume Cilighidra, era passato sulla mappa. Ho camminato lungo la riva finché non sono arrivata al ponte. Il ponte di legno, stretto, per quanto passare un uomo. Visto dal ponte l’acqua si vedeva sempre scura. In questo posto un bambino si e’ annegato molti anni fa. Aveva piovuto forte e le acque rigonfie si riversarono dappertutto, rompendo il ponte con il ragazzino che guardava in giu’ con curiosità. L’acqua lo prese, lo trascino lontano, giù, fino allo stagno. La grande fontana è un po’ più in alto. Lì ho bevuto acqua fredda come il ghiaccio. Come sempre i cavalli del villaggio erano rinfrescati qui – la fontana era ed è una benedizione fin dai tempi antichi. Sulla sinistra della fontana c’erano I parenti del mio padre e Vasile, il loro figlio, avrebbe dovuto fare con la macchina fotografica alcune immagini nello stesso giorno. Mi voltai a destra, la stradina attraversava i vigneti, gli alberi da frutta crescevano ai margini dei giardini. Accanto a Ruben la terra si alza bruscamente.

Il sottobosco fitto e pesante serviva come recinto dando rinfresco alla stradina che saliva verso la chiesa distrutta. Era un posto misterioso lì! In quel posto vedo la giovane madre. Ci ha spesso raccontato una storia della sua giovinezza. Stava tornando dalla nana Irina, sua sorella maggiore – stava diventando buio e lei si affrettò verso la sua casa. Vide un’ animale sbiancante che li sembrava un agnello. Ha camminato timidamente intorno a lui per passare – il agnello stava puntando verso di lei. Cercò di evitarlo, volendo passare dall’altra parte della stradina stretta, l ‘agnello torno verso di lei di nuovo. „È lui, il draco con le corna!” –penso tra se. E cominciò a segnare la croce con la lingua e ad aggirarlo piano-piano verso la margine, quindi corrsi più forte che potesse! La vedo quanto era bella! Sottile come una canna e gentile come una storia era mia madre. E aveva il senso del umorismo! Un po ‘oltre ancora e arrivai alla staccionata di nana Irina sul pendio. Salii nel sentierino arrotondato, che prese la forma della terra e raggiunsi il cancello lungo e basso in alcune assi in forma della lettera „x”. Come nel gioco con il filletto.

Ci avvolgiamo un filo annodato intorno ai palmi ad una certa distanza. Con il dito medio stavo tirando il filo sotto e con l’altro dito medio stavo facendo lo stesso. Poi ancora una volta con entrambe le mani e tirai fuori una forma che si assomigliava al cancello di nana Irina. Ho spostato un po’ il cancello per entrare oltre e ho trovato la corte splendendo, la nana mi stava sorridendo accanto alla capanna. Faccia a faccia col cancello stava in piedi poco più di due secoli fa la recinzione di pietra scura, le acacie alti nascondevano la nostra chiesa, che per lungo tempo è rimasta solo con il nome di chiesa – è stata distrutta dall’ordine delle autorità sovietiche installato di recente. Le ombre di acacia davano molta freschezza. Davanti alla chiesa riposa un antenato, il fratello del nonno paterno. Sulla vecchia croce sulla tomba si possono ancora vedere le tracce della scrittura. Si può leggere: Vasile Munteanu, il fondatore della chiesa del villaggio, costrutore di chiese. Se la chiesa è stata distrutta, la tomba, invece, è rimasta intatta. Mio fratello Vasile ha preso il nome del nostro antenato, come si portava da noi di padre in figlio. Nel cortile di nana Irina, la sorella di mia madre, ovunque si vedevano le ciotole per bere l’acqua: per le oche con le gemme, per il cane, per i polli; piccole sedie basse a tre piedi; il forno estivo fatto a modo come nei vecchi tempi antichi di argilla e paglia, su cui veniva cuotta la polenta o il porridge. Tutto era vecchio alla nana. Senza un uomo, era morto nela guerra, essa con le sue tre figlie si e attenerse di un vedovo a vent’anni più vecchio di lei, Petrea Batâr.

Pictură originală Fenea Petruț-Munteanu

Era morto da molto tempo, quindi nana Irina si arranggiava da sola. Era una donna tranquilla. „Va bene!” diceva con pacificazzione. La casa che aveva ereditato dal vecchio era coperta di canna, come si usava una volta. La primavera prima di Pasqua la dippingeva, gli dava un ombra bluastra con le strisce nere in basso. Sulle finestre dipinte in blu cobalto fiorivano molto i fiori arroventati. La vecchia cantina col le porte di legno color griggio talmente amaramente antiche e rovinate. Agli angoli della stala sotto il tetto c’erano grossi chiodi in cui la nana appese gli oggetti necessari a casa: una catena da appendere una lampada a gas arruginita, una brocca piena di semi o qualcos’altro. Il macinino era montato su un seggiolone: ti sentivi a tuo agio seduto a maccinare per I polli o per le galline. Nana all’inizio della primavera tirava fuori i pulcini anche tre volte, gli tenne vicino a se al caldo. Le stava andando bene con le galline. Le cioice stavano a nidificare una dopo l’altra, quindi la nana aveva pulcini di vari eta. „Dammi anche a me una chioccia, cara!- gli chiedeva la mia mama.- Io non c e l ho nessuna chioccia ancora.” E nana Irina non l-a rifiutata mai! La primavera in cui ero seduta con la nana Irina a chiacherare me la ricordo come una leggenda. Ero venuta con cavalletto a colori, cartone e tela. Era prima di Pasqua. Sulla corda tesa, appesi nel vento I tappeti di stracci tessuti da essa. Una nipote era appena venuta a trovarla. Il fazzoletto caldo in testa, con un maglione fatto a mano grossolanamente a lana ruvida , sopra un cappotto pesante senza maniche, la gonna lunga, calze di lana fatti a mano. In lacrime mi ha chiesto: „Lo sai che noi siamo molto parenti anche se ci vediamo raramente?!” E cominciò a piangere e a lamentarsi per il mancato di sua mamma, che era giusto cugini primi anche con la mia madre. Io al cavalletto in piedi con i miei pennelli in mano mi fermai.

Nana mi sussuro’ che il marito di sua nipote di tanto in tanto si ubriacava, allora la picchiava. La primavera era fredda, con il sole che brillava poco di luce. Nana ci invito a sederci nella cappana, dove era piu caldino che fuori. Mi portò una veste grande e spessa e un panno di lana con cui mi avvolsi. Stavo bene. Andò la nana in cantina e tirò fuori una brocca di vino rosso. Tutt ora è arrivato Vasile, figlio dei parenti di mio padre con la macchina fotografica. Ha scattato alcune foto con me, con la nana Irina e con sua nipote, e I tapetti appesi sulla corda al vento. E ‘stato un buon momento per sollevare il bicchiere pieno per festeggiare la mia felicità e la mia giovinezza. Ero troppo ottimisma. In una delle immaggini apparve la nostra chiesa senza croce, simile a un grande uccello pieghettato. Tra i rami di acacia appariva solitaria e quasi nera. Nana amava le capre, aveva tre –quattro capre di latte, alte due o tre ancora giovinelle e necessariamente teneva a casa uno caprone. Era il più bello di tutte le creature della casa di nana! La parte precedente era bianca e un ciuffo di color nero tra le corna lo rendevano bizzarro e simpatico. La parte posteriore era tutta nera. In quella primavera le capre avevano fatto nascere I piccoli che saltavano flessuoso nella stala. Avevo installato il mio cavalletto di fronte alla stala e stavo cercando di cogliere la dolce bellezza della casa della nana. Lì mangiavo, lì lavoravo, lì stavo dormendo. Mi piaceva essere ospitata da nana, perche’ era bella, alta e gentile, come lo erano tutti i loro familiari: Il nonno materno, la mia madre, fratelli e sorelle, tutti vecchi, tutti bianchi. Nana Irina mi ha raccontato della sua vita da ragazza.

A 16 anni disse ai genitori chiaramente: „Papà, mamma, voglio sposare uno ragazzo!” Detto e fatto. Subito dopo il matrimonio, furono messi nella loro casa. Pero’ arrivata la disgrazia. Sono arrivati I russi col carri armati, villaggio e’ stato distrutto, esodio della gente, persone sparse in tutte le parti del mondo e la nana Irina ha raggiunto Frumusica Vecchia, una localita’ vicino a Frumuscica Nouă il quale è rimasto solo il nome. Le sparatorie dall poligono hanno distrutto tutto, solo il nome è rimasto! La casa di nana era piccola. Entravi in una stanza di passaggio, sulla sinistra il soggiorno colla stufa, a destra una camera detta „casa mare”, dove c’era una lunga sedia in legno, alcuni vecchi mobili ben tenuti, le carpette tessuti a mano come si usava una volta. La sedia lunga è stata fatta per l’evento di un matrimonio o una morte in modo che più persone potessero sedersi. Aveva fatto una cameretta in fondo tra le due- piccola e stretta, per adattarsi a un lettino di legno. La finestrina molto piccola e bassa sul quale ticchettava pacificamente il orologio. È come se fossimo in una cella! Aveva fatto una stufa in cui d’ inverno bruciava il fuoco tutto il giorno. La piccola stanza si stava riscaldando rapidamente. Lì passasi gli ultimi giorni il nonno Ioan. Dopo che il loro villaggio natale , è stato rasato al suolo dalle truppe russe lui visse a Borodino, egli ottene a vivere nella casa di un colono tedesco, a circa 20 km dal nostro villaggio. Borodino era anche la casa di Timofei, il fratello più piccolo. Il nonno Ioan ha avuto una lunga vita. Quando la fine fu vicina, pregò il figlio di portarlo a morire a Frumuşica Veche, accanto alle sue ragazze. In quei giorni tutti i suoi cari erano alla sua testa.

Era un continuo andar-vienne… Stavo anch’io accanto al mio nonno, quello che lo vedevo raramente. Accanto a me sedeva mio padre, madre, nana, Dochia, la figlia di nana. Era stretta la cameretta, ma tutti c ‘entravano: io e il gatto a terra, in ginocchi stava Dochia e, seduta acanto al nonno con gli occhi in lagrime, la mia mamma, mio padre con la brocca di vino nella sua mano, onorando i suoi parenti, la piccola tavola rotonda con la polenta dorata nel mezzo, il formaggio e stufato di maiale. Sul letto duro giaceva nonno bianco come un sudario era nella pienezza della mente. Sopra di lui appeso a un chiodo si profilò icona che pareva spostarsi dalla lampada accesa. Icona era adornato con un asciugamano tesuto in casa, come era consuetudine, e il basilico sui lati. Mi è rimasto per sempre il ricordo del silenzio e della tranquillità quando stavamo ?conducendo il mio mio nonno in altro mondo. Spesso trovavo la mia nana filando la lana insieme ad Nastasia di Mardari, una vecchia signora allegra, corta, pesante e tutta bianca, il viso e la testa. Il vestito di lei era quasi bianco, scolorito per così tanto tempo usato. Si sedette su un vecchio sgabello con la forca da torcere sotto ascella, col filo dopo che l’abbia superato sopra il ramo di acacia, nana Irina con un grande sorriso sulle labbra stavano filando al ombra delle grosse acaci, anche’ piu’ vecchi di loro, ma con foglie fresche e I fiori bianch profumati per la venuta della primavera. Al di là della recinzione intorno alla chiesa demolita le acacie fiorivano a tutte le forze, sembrava che la vita nel villaggio della valle sarebbe stato tutto il latte e il miele, la pace e la comprensione. La primavera in cui ho vissuto dalla Nana è stata indimenticabile. Capre con grandi macchie di bianco sulla parte anteriore, le piccole caprette saltelanti, I fiori di acacia nel cortile –mi sono integrata totalmente nella vita semplice di nana. Stavo vivendo una vita che retrocedeva lentamente ma sicuro- questi momenti sacri li passavano tra le mie emozioni, mi tradivano le mani tremanti appena percettibile. I tocchi di pennello erano tocchi di nervi messi su cartone, oltre la debolezza portato da primavera … La testa ha cominciato a far male. „Qualcuno ti ha dato il malocchio! Entra in casa che ti tolgo il maloochio!” Mi sono distesa su lettino dove mori il mio nonno! Ha portato del acqua santa in una piccolo bottiglia verde, mi lavo con la buona spruzzata sul viso, sui capelli intrecciati in coda. La discantazione è iniziata.

Nana mi ha lasciato il segno sulla fronte, le poche parole magiche le ha sussurrato. Ho solo sentito la fine: „… ed è rimasto … il nome … pulito, candido, Come l’argento cigolato. Disincanto e’ mio Prendilo da Dio”. Il dolore non era sparito, ora so il perché. Quelle piccole gioie che ho vissuto a casa di nana Irina sono state fatali per me, le emozioni mi hanno divorato. Ero fatta di nervi, di sentimenti. Sola nella buia cameretta mi costrinsi a far uscire il dolore dai temporali. Il suo discanto ancestrale avrebbe dovuto produrre – avevo bisogno di confermare la validità di quell’antico modo di vivere. È venuto una nuova generazione di uomini e donne, a cui appartenevo, una generazione che ha rotto definitivamente e irrevocabilmente col passato, quindi con il fascino e la vita modesta del paese e della psiche umana, tempi nuovi dove non c’era posto per il passato, il futuro era un amalgama di insicurezza. Il futuro, infatti, non esiste. C’è l’essere umano con tutti le sue debolezze e preggi. Ero ancora felice nella vita tranquilla accanto ai miei cari. Non sarà lungo, e tutta la vita semplice e bella della nana Irina scomparirà come un respiro. Quella primavera ho avuto la fortuna di avere alcune fotografie in bianco e nero realizzate da badea Vasile, il figlio di Frăsinica vicino alla fontana, I parenti padrini. Lui si era ritirato dalla città di Odesa a casa dei suoi genitori dopo che erano morti. La foto più suggestiva che mi è stata data è stata quella che raffigurava una ragazzina con un bicchiere di vino in mano e il sorriso più bello che l’ho mai fatto a qualcuno. Ogni volta guardo la fotografia con la freccia nel cuore e la gioia di rivisitare con me stessa non ha uguale.

Ero curiosa della storia che sapevo di andare in America. Da mia madre ho sentito: ” se ce ne fossimo andati, non c’era niente del genere! Non eravate nemmeno voi… „Per un attimo fui davvero contenta che i miei nonni non potessero andarsene, così potei nascere e scrivere della nana, della madre, del villaggio, del poligono. Era la nonna Maria a resistere, anche se i cavalli intrappolati nel carro con i bagagli stavano tutti aspettando al cancello. „Non voleva e non voleva!” – Nana Irina mi conferma. Poco più di qualche anno, nel 1946, il 10 agosto, le autorita’ sovietiche hanno fatto la legge di stabilire il poligono – il destino è stato spietato con loro. Il poligono è stato creato proprio sulle loro terre ancestrali! Perderebbero tutto. Hanno perso tutto. Rimase solo la conchilia, questo corpo di argilla e anima, che nascondeva l’impotenza del povero popolo innocente..